Migrazioni al plurale

Le storie delle donne nell’emigrazione da Italia nei Paesi Bassi

Marieke Lauwrier

Nelle storie sull’emigrazione nei Paesi Bassi dagli anni Sessanta ai Novanta i riflettori sono puntati soprattutto sugli uomini italiani, non ci sono tante donne che raccontano le loro esperienze dell’emigrazione, le loro esperienze qui nei Paesi Bassi, i loro sentimenti riguardo il loro paese ospite, i Paesi Bassi, e riguardo il loro paese origine, l’Italia. Questo nonostante il fatto che le storie delle donne emigrate facciano anche parte del patrimonio migrante e debbanoono essere studiate e registrate per la preservazione del patrimonio culturale.

Il ruolo delle donne nel processo migratorio

Le donne sono generalmente svantaggiate nel processo migratorio, l’occupazione maschile è privilegiata rispetto alle carriere femminili. Le donne che seguono il marito nell’migrazione spesso hanno poca influenza su questa scelta. Inoltre, hanno il compito di curare le relazioni sociali in un ambiente sconosciuto e incerto. Ma la migrazione offre alle donne anche l’opportunità di sfuggire al dominio maschile e liberarsene.

Storia orale delle donne emigrate

Anche se all’inizio non emigravano molte donne, dalla meta degli anni ’60 il loro numero è aumentato per esempio a seguito del ricongiungimento familiare. In ogni caso delle donne italiane emigrate ci sono tante storie da raccontare che abbiamo scovato in varie fonti (libri, articoli, video, podcasts ecc.). Questi racconti creano una sorta di storia orale delle donne emigrate e forniscono una visione più approfondita delle loro idee sull’emigrazione e sull’integrazione nei Paesi Bassi dagli anni Sessanta del secolo scorso agli anni Venti del 21e Secolo.

Le storie delle donne italiane emigrate diviso in tre ondate

L’emigrazione italiane nei Paesi Bassi dal 1960 ad oggi può essere divisa in tre ondate: la prima dagli anni ‘60 e ’70, la seconda dagli anni ‘80 e ’90, e la terza dagli anni 2000 ad oggi.

Nella prima ondata vedremo che l’integrazione nel paese ospite è importante per le donne emigrat: ciò include parlare la lingua olandese, mangiare cibo olandese (patate bollite!) e partecipare ad organizzazioni per le donne nei Paesi Bassi. Nella seconda ondata l’integrazione sembra essere meno importante, in questa fase domina l’idea di avere due culture dentro di sé e questo viene visto come un arricchimento. Imparare la lingua olandese sembra ancora altrettanto importante quanto nella prima fase dell’emigrazione. Le donne della terza ondata appartengono quasi tutte al gruppo che potrebbe vivere ovunque. Imparare la lingua olandese rimane importante per le donne di questo gruppo, ma non è di vitale importanza perché in Olanda se la cavano benissimo con l’inglese.

La prima ondata negli anni ’60 e ’70

L’emigrazione delle donne italiane è aumentata soprattutto a partire dal 1964. Prima, dal 1956, venivano principalmente uomini scapoli, molti dei quali sposavano una donna olandese (86% degli uomini). Dal 1972, in termini relativi, sono arrivate più donne rispetto agli anni precedenti, e l’afflusso di uomini è diminuito. C’è stato un picco nell’emigrazione maschile nei Paesi Bassi nel 1961, perché l’Italia e i Paesi Bassi avevano siglato un accordo per l’emigrazione temporanea di operai. Negli anni Ottanta il rapporto tra uomini e donne che emigrano diventa sempre più paritario.

Durante questo periodo, molti italiani vengono nei Paesi Bassi a causa delle pessime condizioni e della mancanza di lavoro in Italia. Che tipo di storie sulle donne italiane e sulle loro esperienze di emigrazione nei Paesi Bassi sono state registrate degli anni ’60 en ’70? La seguente vignetta, parte dell’archivio di immagini del sito 1001 italiani, sembra suggerire che le donne italiane arrivavano nei Paesi Bassi a seguito dei loro mariti, padri o fratelli (fonte e data della vignetta purtroppo sconosciute). La vignetta si riferisce all’allora molto popolare stella del cinema italiano, Gina Lollobrigida.

Traduzione: Lavoratori italiani nei Paesi Bassi Inizio di una Lollobrigata?

Le storie delle donne della prima ondata

1) Le donne anonime
2) Romana van Maanen-Bridda
3) Vrouwen te gast: Rosella e Ina
4) Doriana, di Belluno, 65 anni, investigatore (pensionata)

1) Le donne anonime

Soprattutto per il primo periodo, dal 1960 in poi, si presta poca attenzione ai racconti di vita delle donne italiane emigrate in quel periodo. Nella Beatrijs, rivista cattolica per le donne, del 23 gennaio 1956 si trova un articolo sulle donne emigrate italiane (e spagnole) con il titolo “Se tuo marito lavora all’estero…” e sotto il testo: “Le donne dei lavoratori italiani e spagnoli devono adattarsi”. L’articolo riguarda le donne che sono arrivate con i loro figli nel contesto del ricongiungimento familiare. Il giornalista dell’articolo parla dei problemi con la lingua olandese di queste donne che devono gesticolare per farsi capire nei negozi. L’essenza dell’articolo è che tutti cercano di adattarsi (le donne cucinano regolarmente cibo olandese – patate bollite!), ma questo avviene più velocemente per i bambini.

2) Romana van Maanen-Bridda

La signora Romana Bridda, nata a Ponte nelle Alpi (Belluno) e sposata con un uomo olandese, ha avuto un ruolo importante nell’accoglienza dei “gastarbeiders” tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Viene menzionata in tutti i tipi di articoli di giornale, ma l’attenzione è rivolta alla storia degli uomini, non alla sua storia. Solo nella rivista femminile Libelle le viene data brevemente più attenzione. Romana dice che si sente bene nei Paesi Bassi, ma che una volta all’anno diventa troppo per lei, quindi parte per qualche settimana per Belluno, dove vive sua madre.

La signora Romana van Maanen-Bridda e alcuni lavoratori ospiti per “Casa d’Italia” a Kastanjelaan 49 Arnhem

3) Vrouwen te gast: Rosella e Ina

Nel 1979 è apparso il fotolibro Vrouwen te gast, in cui Bertien van Manen mostra le lavoratrici migranti o le mogli dei lavoratori migranti che sono arrivate nei Paesi Bassi nel contesto del ricongiungimento familiare. Anche le donne italiane sono state fotografate nella loro lotta per sopravvivere in una cultura straniera. Van Manen ha fotografato le condizioni di vita, il lavoro, le feste e le attività ricreative, spesso primitive. Nel libro vengono intervistate due donne italiane che sono venute nei Paesi Bassi, una negli anni ’60, Ina, l’altra, Rosella, negli anni ’70. Ina ha seguito il marito nell’emigrazione. Rosella è venuta da sola. Entrambe lavorano e sono attive nel centro comunitario per le donne. Entrambe fanno del loro meglio per integrarsi. Ina vuole che i suoi figli imparino solo l’olandese, la famiglia mangia spesso cibo olandese come patate e “stoofvlees”. Rosella è più critica rispetto agli olandesi. Lei rileva anche un cambiamento tra le donne italiane riguardo all’emigrazione nel 1979 e dieci anni prima: una donna italiana che era sola non emigrava. “Rimaneva disoccupata in Italia. Questo è un sintomo del cambiamento di mentalità avvenuto in Italia negli ultimi anni. “

Foto: Bertien van Manen

4) Doriana

Nell’intervista con Doriana il 7 giugno 2024 lei racconta delle sue prime esperienze nei Paesi Bassi.

All’inizio si sentiva disprezzata degli olandesi perché di notte lavorava in un ristorante e di giorno faceva le pulizie, ciò che veniva considerato un lavoro troppo umiliante.

All’inizio (1978) si sentiva discriminata per questi motivi. Era più o meno condannata a questo tipo di lavoro fino all’introduzione di un nuovo decreto nel 1986: “Il decreto di 1986 per me è stato l’ideale […] è stata una fortuna. Con questo potevo fare domanda di lavoro in un ente pubblico, potevo trovare un lavoro.”

Ha quindi potuto lavorare per la Polizia come vigile, poi è diventata agente e alla fine investigatore. Lei racconta: “[…] comincio naturalmente ad un livello basso e poi aumenti un pochino. E lì ho capito che se non ti dai delle arie, se non dici che sei brava, che hai fatto delle belle cose, non vai avanti. Quindi, sai, è questione di imparare.”

Gli italiani si comportano sempre in modo gentile, ma questo non porta lontano nei Paesi Bassi. All’inizio della sua emigrazione l’essere italiana veniva considerata una cosa negativa, ma “adesso invece è una qualità in più, oh sei italiana? Oh bene, racconta, da dove vieni?” Gli olandesi erano molto più aperti e interessati al paese di provenienza degli emigranti.

Doriana ha due nazionalità: l’olandese e l’italiana, e si sente olandese e italiana allo stesso tempo. Recentemente ha acquistato un appartamento nella sua regione natale. Ne ha anche uno a Zeist e continua a vivere li per la maggior parte del tempo, anche per via dei figli e della nipote, ma anche perché e molto attiva nell’associazionismo lì e si sente sistemata qui. Ma allo stesso tempo mi ha raccontato anche che: “Quindi quando io passavo il ponte qua in paese [in Italia] avevo il cuore da boom boom […] per ritornare a casa”.

La seconda ondata dagli anni ‘80 e ’90

La crisi petrolifera è stata una delle cause del calo dell’emigrazione di massa dall’Italia nei Paesi Bassi. Secondo Daniela Tasca, 1001 Italianen, l’emigrazione italianain questa fase si è concentrata maggiormente sullo sviluppo personale, politico o culturale. La situazione politica (gli anni di piombo non sono ancora terminati in Italia) e la situazione sul mercato del lavoro favoriscono l’emigrazione italiana. Daniela Tasca caratterizza questa fase come un periodo in cui arrivano soprattutto giovani in cerca di lavoro temporaneo o expats ben pagati individuati da headhunters o dall’università. Alla fine degli anni ’80 arrivano anche gli studenti del programma Erasmus. Il 1° gennaio 1990 vivevano nei Paesi Bassi poco più di 16.000 italiani di nazionalità italiana e, si stima, che altri 8.500 italiani di nazionalità olandese. Due terzi degli italiani con nazionalità italiana erano maschi.

Le storie delle donne della seconda ondata:

  1. Marika Viano
  2. Daniela Tasca
  1. Marika Viano

Marika racconta nell’ intervista radiofonica FM in Italië: “Het enigste wat ik van Nederland wist, is dat je er kon schaatsen”(“L’unica cosa che sapevo dell’Olanda è che lì si poteva pattinare”), che è venuta nei Paesi Bassi per un corso estivo all’Università Utrecht in 1986 e poi è ritornata l’anno dopo nei Paesi Bassi con una Borsa di Studio Erasmus. In un’intervista con il Buitenlandredactie di 20 giugno 2013 lei racconta che è tornata in Italia dopo gli studi, ma che le veniva regolarmente richiesto di svolgere incarichi di traduzione. All’inizio degli anni ’90 è tornata nei Paesi Bassi e ora è “completamente fusa” con i Paesi Bassi. Le piace di più la lingua, che usa con attenzione e praticamente in modo impeccabile. “L’olandese è così bello e ricco. Dovresti esserne un po’ più orgoglioso”. Alla domanda se tornerà mai in Italia, lei dice: “In passato avrei detto sì. Adesso non lo so più. Mi sono affezionato allo stile di vita olandese.” Nell’intervista con Daniela Tasca in 1001 Italianen Marika rivela perché ha lasciato l’Italia: sono stati l’omicidio dei giudici Falcone e Borselino, l’operazione Mani Pulite e l’ascesa di Berlusconi a minare la sua fiducia in un’era nuova e migliore per l’Italia.

2) Daniela Tasca

Nell’intervista in One World con Daniela Tasca, arrivata nei Paesi Bassi nel 1989 come studentessa in scambio cercando salvezza dalla soffocante cultura mafiosa siciliana lei dice: “Amsterdam è ancora il mio grande amore, la relazione più lunga che ho avuto nella mia vita. Il giorno in cui sono arrivata, ho capito: questa è la libertà, questo è il mio posto”. Eppure, dopo dieci anni di intensa integrazione, ha sentito il bisogno di dare molto più spazio alla sua parte italiana: “Sono italiana al 150%, questo è il mio cuore. Ma non ho problemi con le identità multiple. Pensa a me come al tiramisù, diversi strati che vanno insieme. Sono siciliana, “Amsterdammer” ed europea. Un multi-cittadino in realtà, non un cittadino compartimentato”. Alla domanda se gli italiani si siano tranquillamente fusi con la popolazione olandese, Tasca risponde con fermezza: no. Anche lei conosce quei sentimenti di doppia lealtà. Riguardo la lezione dalla storia dei migranti italiani lei dice: “Lasciate andare i migranti per la loro strada, ascoltateli e aiutateli se hanno bisogno di sostegno. Ma non forzare l’integrazione. Le cose andranno bene per turchi e marocchini, come sono andate bene per gli italiani. Impara la lezione dalla nostra storia condivisa, non nasconderla […]”

La terza ondata dagli anni 2000 – ad oggi

In 1001 Italianen Tasca indica dal 2008 si è verificato un picco di emigrazione, uno esodo italiano, a causa della crisi finanziaria. La disoccupazione giovanile in Italia è la più alta in Europa, nel 2015 quaranta per cento. Tasca distingue tre gruppi di emigranti. Soprattutto in città come Amsterdam o Utrecht sono arrivati migranti “che ricordano la tradizionale migrazione a catena […] generalmente giovani con un livello di istruzione basso o intermedio che, dopo il loro arrivo, cercano innanzitutto un lavoro con cui guadagnarsi da vivere, spesso in un ristorante italiano, nella speranza di poter poi avviare un’attività in proprio o trovare un lavoro più adatto alla formazione ricevuta.” Il secondo gruppo, la maggior parte degli italiani, principalmente quelli con titoli universitari vengono nei Paesi Bassi per svilupparsi sia personalmente che professionalmente in un primo lavoro adeguato alla loro formazione. Il terzo gruppo sono gli studenti che trovano la strada per i Paesi Bassi, ad esempio per conseguire qui il loro dottorato. Lo stipendio gioca un ruolo importante in questo, ma anche il fatto che i Paesi Bassi siano un paese meritocratico sembra essere importante, solo le tue capacità, i tuoi talenti sono importanti.

Le storie delle donne della terza ondata:

  1. Deborah  
  2. le donne emigrate che pubblicano sui Youtube-canali,
  3. l’intervista con Silvia, di Milano, 30 anni, professore assistente all’università e che vive a Utrecht
  4. Vivo Altrove, libro di Claudia Cucchiarato
  1. Deborah

Deborah, una donna intervistata da Daniela Tasca in 1001 Italianen appartiene al primo gruppo: “nuovi lavoratori ospiti”. Lei è arrivata in Amsterdam con il suo amico Tiziano e racconta: “Quando abbiamo deciso di andare ad Amsterdam nel 2009, avevo ventiquattro anni. Per me ha significato ricominciare da capo, lasciare la mia famiglia e costruire una vita con Tiziano. Siamo stati diverse volte in vacanza ad Amsterdam ed entrambi pensavamo che fosse una città molto bella, con un mix di culture che mi attirava e nella quale mi sentivo libera. È stata una scelta consapevole.” Entrambi non parlavamo olandese. Secondo Tasca questo gruppo di emigranti ​​spesso incontrano gli stessi problemi del classico immigrato: non hanno conoscenze del paese ospitante, non parlano la lingua (neanche l’inglese) e spesso sono sfruttati sul lavoro. Dopo cinque anni, Deborah e il suo amico sono ritornati in Italia. All’inizio solo nell’estate per lavorare nel campeggio della loro famiglia; l’inverno lavorano nei Paesi Bassi in un ristorante. Si sentivano bene dividendo le loro vite in due mondi, che consideravano anche i propri emotivamente, ma si sentivano sempre più degli outsider, degli esuli. Secondo loro, a ciò ha contribuito il fatto che non parlavano bene l’olandese. Alla fine i due sono ritornati in Toscana e pensano che il loro futuro sarà là. 

  • Donne su Youtube-canali

Per le storie delle donne italiane che sono emigrate negli anni del nuovo secolo si trovano tante risorse sulla rete. Per esempio quello di Giulia:.

Nel video Vivere in Olanda, pro e contra Giulia è molto positiva sui Paesi Bassi. Il pro sono la meritocrazia, lei ha trovato un lavoro adatto alla sua formazione e pensa che in Olanda è possibile sviluppare se stessi. Giulia si è preparata al sua partenza nei Paesi Bassi, ha visitato il paese qualche volta prima di decidersi. Lei consiglia il futuro emigrante di avere una grande aperture mentale per potersi adattare bene nel nuovo paese. Nonostante Giulia trovi la lingua olandese difficile, cerca di impararla perché parlare la lingua è importante per appartenere, per integrare, per essere inclusa. L’inglese che viene parlato spesso degli olandesi, è usato molto nelle grandi città, ma non nei villaggi di campagna. Al momento Giulia vorrebbe continuare a vivere qui.

Ma ci sono tante altre donne, per esempio Giorgia,

un’insegnante di yoga che sul suo canale Giorgia Seeds, racconta delle sue esperienze di vita pratica nei Paesi Bassi, il cibo, l’assicurazione sanitaria ecc.  Entrambe registrano le proprie storie di emigrazione nei Paesi Bassi. Anche qualcuna con il nome Stronzetty, parla per esempio sull’argomento: Quali sono le MIGLIORI città in cui trasferirsi? Vivere nei Paesi Bassi.

  • Silvia

Silvia è professore assistente all’università, quindi appartiene al terzo gruppo. È arrivata nei Paesi Bassi quando aveva 23 anni e vive da quasi sette anni a Utrecht. Silvia poteva scegliere se fare il dottorato a Pisa o a Utrecht. La sua scelta per Utrecht era casuale: vuole “vedere qualcos’altro, andare da qualche parte nel mondo” […] se fosse stata la stessa posizione in Francia sarei andata in Francia, se fosse stata nella Repubblica Ceca sarei andata nella Repubblica Ceca” perché potrebbe “vivere un po’ ovunque”. 

Però lasciare i suoi amici è stato difficile e in generale anche comunque abituarsi a una nuova cultura, una nuova lingua, che non parla del tutto. Questo non è stato facilissimo soprattutto all’inizio. Il suo arrivo a Utrecht è stato molto organizzato, strutturato: aveva un , una casa, un OV-chipcard ecc. Solo l’inizia del suo contratto era un po’strano, il 15 agosto, quindi Ferragosto, un giorno festivo importante in Italia. Silvia ha seguito dei corsi di olandese e adesso ha raggiunto quasi il livello B2, ma avendo una posizione fissa all’università lei pensa che sarà bene sapere meglio l’olandese. Praticare l’olandese è difficile perché parla soprattutto l’inglese.

Silvia ritiene che l’inglese influenzi negativamente il suo italiano: “Mi rendo conto che faccio molta più fatica ogni tanto a trovare le parole e ogni tanto sbaglio qualcosa di sicuro. Quindi soprattutto le parti più funzionali, ad esempio ogni tanto mi sento mettere la preposizione inglese o le collocazioni, quando ci sono parole che vanno con altre parole, ogni tanto metto la versione inglese, non la versione italiana. Quindi faccio più fatica in generale e ogni tanto faccio errori.” Ma quando è arrabbiata, parla italiano. Interessante è che Silvia a livello di attualità, segua la parte italiana e quasi mai l’attualità olandese.

Silvia si sente assolutamente italiana e probabilmente più europea che olandese, ma non vorrebbe vivere in Italia in futuro perché per lei la situazione là è assolutamente caotica.

Inoltre, lì in Italia fa troppo caldo. Vuole restare qui anche se nei Paesi Bassi si sente solo un po’ a casa. Per la sua permanenza qui è un po’preoccupata quando i suoi genitori saranno più vecchi.

4) Vivo altrove

Sui giovani italiani che possono vivere ovunque Claudia Cucchiarato ha scritto un libro Vivo Altrove, Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi (2013). In un’intervista Claudia parla di questo libro in cui lei ha analizzato un fenomeno prevalente in Italia, la fuga dei giovani all’estero: Vivo Altrove o come dice Slivia: “potrei vivere ovunque”.